
Tra i numerosi testi redatti personalmente o con l’approvazione da Carl Gustav Jung, il Libro rosso (Liber novus) rappresenta indubbiamente una unicità.
Non si tratta di un saggio o di un testo scientifico, ma del racconto intimo della personale “calata negli inferi”.
E’ stato paragonato alla Divina Commedia.
Se pur in una forma più moderna e meno aulica, è altresì pregno di quello stesso respiro numinoso che aleggia in ogni pagina, in ogni disegno e tra le sillabe tracciate a mano.
In questo lunghissimo viaggio, al pari del sommo poeta, il padre della psicologia analitica ci racconta le sue Immagini. Ciò che risalta, è la concomitanza con l’inizio della Divina Commedia.
Jung inizia raccontando che alla soglia dei quarant’anni, dopo aver raggiunto ogni traguardo individuale e sociale, lo spirito del profondo lo chiamò.
Per quanto fosse umanamente ragguardevole ciò che aveva realizzato, era poca cosa di fronte alle “grandezze” che lo chiamavano.
Così viene raccontata l’inizio della krísis e del viaggio nel profondo che lo accompagnerà per sedici anni.
La sua vita, le scoperte nel campo della psicologia, ogni passo futuro che lo renderà un nome conosciuto, in buona parte del pianeta per molto tempo dopo la sua scomparsa, nascono da questa esplorazione.
Ciò che accomuna queste due opere così lontane nel tempo, nella forma, e nel contesto da cui verranno diffuse, è l’esperienza che ogni individuo compie.
Raramente questo viaggio è descritto come volontario.
Spesso ha invece le caratteristiche di un richiamo perentorio, ineluttabile, che ad un certo punto della maturità biologica impone la conoscenza del proprio profondo e delle strutture psichiche che lo animano.
In ogni tradizione culturale, mitizzata e non, esiste il racconto di una iniziazione.
Al di là dei termini con cui viene definita, la condizione essenziale, il minimo comun denominatore che accomuna a tutte le latitudini ed epoche questa esperienza, è l’incontro e la scoperta della propria Immagine interna.
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