Le fiabe si esprimono attraverso un linguaggio antico e condiviso tra tutti i componenti della specie umana.
E’ un linguaggio fatto di immagini narrate in precise sequenze.
Ora, questo linguaggio, così come una lingua, può avere delle forme dialettali che possiamo paragonare alle varianti di una lingua condivisa da un gruppo più ristretto di persone, per giungere poi alle espressioni condivise da una singola famiglia, fino al linguaggio che è proprio di un’unica persona.

Scrivere una fiaba rispettando le regole del “Linguaggio per Immagini©“, ci induce a far riemergere la nostra versione personale di questo linguaggio che, pur essendo comprensibile per altri, ha dei significati e valenze uniche che “funzionano” solo per chi ha scritto quella fiaba.

Di seguito riportiamo un esempio di fiaba realizzata nell’ambito del Metodo “La Danza delle Immagini©”.

Il Cuore della Foresta

C’era una volta, in un luogo lontano, una giovane donna di nome Luna che viveva da sola all’interno di una grande e fitta foresta.
La giovane non ricordava da quanto vivesse lì.
Soltanto alcuni sbiaditi ricordi di un castello, di una donna con lo sguardo dolce e la voce squillante che la chiamava affettuosamente, le facevano pensare che da piccola vivesse altrove.

E poi un sogno occupava sovente le sue notti. Un bellissimo giovane con la corona in testa, in sella a un possente cavallo, la chiamava a sé con le braccia aperte.

Luna usciva raramente dalla foresta. Soltanto una volta al mese, nella prima notte di luna nuova, si recava in uno dei villaggi vicini per reperire le provviste che non trovava lì.

Così era ormai consuetudine che i commercianti lasciassero fuori dai negozi le scorte che poi Luna andava a prendere e che la giovane li ricompensasse con i frutti spontanei che raccoglieva durante le esplorazioni nella foresta.
Si trattava di bacche particolari, fiori dai quali ricavare essenze profumate, alcuni tipi di funghi particolarmente prelibati, felci per unguenti ed erbe medicamentose. Alcune volte, in mancanza di questi frutti, Luna lasciava piccole pietre preziose che ogni tanto trovava nei sentieri più interni della foresta.

Nessuno dei villani aveva mai visto il suo volto perché, nonostante fosse buio, la giovane indossava sempre un cappuccio che le copriva il capo. Luna si vergognava molto, era convinta di essere un mostro e che, se era stata abbandonata lì e nessuno era più tornato a riprenderla, doveva essersi macchiata di qualche grave colpa.

E dunque continuava a vivere lì da sola e a non far vedere a nessuno il suo volto. Così la vita continuava; gli abitanti nei loro affari quotidiani e Luna nelle sue esplorazioni all’interno della foresta.

Un giorno mentre era in cerca di legna, fu attratta da alcune voci provenienti dal villaggio più vicino, allora abbandonò il gruzzoletto di legna raccolta per fare qualcosa che non aveva mai fatto prima. Si recò al limitare della foresta, si nascose dietro gli ultimi cespugli e si mise a guardare il trascorrere della giornata degli abitanti del villaggio.

C’erano tanti bambini che insieme entravano in una grande casa e altri che giocavano nei viottoli, gli artigiani nelle loro botteghe che ogni tanto uscivano e si mettevano a chiacchierare e scherzare con i vicini, i commercianti che cercavano di accontentare le richieste dei clienti e le donne indaffarate nelle faccende di casa che si raccontavano vecchie storie mentre si aiutavano l’una con l’altra nei mestieri più faticosi. Al naso di Luna giungevano i profumi che uscivano dalle finestre accostate delle cucine e vedeva sbuffi di fumo uscire dai camini accesi.

Poi improvvisamente un rumore di zoccoli in lontananza spazzò via tutto ciò e Luna vide tutti presi in un correr via terrorizzato; le donne che gridavano urlando ai bambini di rientrare e poi sprangavano le porte delle case, i commercianti e gli artigiani che toglievano in fretta e furia le loro mercanzie poste all’esterno dei negozi e si serravano dentro.
Nel villaggio di colpo era sceso il terrore.

Il rumore di zoccoli si avvicinò al centro del villaggio. Luna vide alcuni uomini correre in cerca di rifugio e poi li vide cadere a terra uno a uno colpiti da una strana polvere nera che i soldati a cavallo avevano gettato su di loro.
Spaventata, si nascose meglio nel cespuglio e continuò a osservare. I soldati scesero dai cavalli e con un gran frastuono di zoccoli e grida legarono gli uomini svenuti a terra con delle funi e li trascinarono via come sacchi.

Poi scese il silenzio e gli abitanti pian piano cominciarono a riaprire le porte di case e negozi e uscire per le strade.

Luna era molto spaventata e turbata. Non capiva. Prima aveva visto tanta armonia e tranquillità poi quelle cose terribili.

Era ormai giunto il calar della sera, Luna uscì dal cespuglio e tornò indietro, raccolse il gruzzoletto di legna, raggiunse il rifugio nel fitto della foresta e se ne andò a letto con una strana, profonda tristezza che le attanagliava il cuore.
Non riusciva ad addormentarsi. Le immagini di quella strana giornata le scorrevano negli occhi. E più scorrevano più sentiva aumentare quel profondo malessere.

Quanto aveva visto l’aveva profondamente turbata.

Le immagini continuavano incessanti: i bambini allegri, gli artigiani che scherzavano, i commercianti che parlavano con i clienti, le donne, il buon profumo, gli sbuffi dei camini e poi i soldati, la polvere nera, le urla e gli uomini che venivano portati via.
All’improvviso le immagini smisero di scorrere e Luna si rese conto di essere sola.

Niente della parte bella di quella giornata apparteneva alle sue. Un dolore lancinante le attanagliò lo stomaco.

Aveva capito perché si sentiva così male; nessuno con cui parlare, nessuno con cui ridere, nessuno con cui mangiare.
Sì, ma anche nessun pericolo e soldati che arrivano all’improvviso e portano il terrore.
E allora pensò che forse sì, forse era meglio così. E con quella rassegnazione nel cuore si addormentò.

La mattina seguente Luna si svegliò con uno strano pensiero. Andare ad esplorare il cuore della foresta, luogo nel quale non aveva mai avuto il coraggio di recarsi. Così si alzò velocemente, fece colazione, prese gli arnesi che potevano essere utili e partì.

Mentre stava per prendere il sentiero udì delle urla e voci lontane. Salì di gran fretta su di un alto albero e vide in lontananza i soldati armati di lance e spade che stavano per entrare nella foresta e vide anche salire verso il cielo colonne di fuoco e fumo nero dai villaggi, segno del loro passaggio.
La giovane scese velocemente dall’albero e iniziò a correre a perdifiato verso il cuore della foresta dove sicuramente i soldati non l’avrebbero trovata.
Dopo aver corso lungamente di colpò si fermò.

Era giunta difronte a una barriera di piante di alloro, alta, fitta e tanto lunga da non poter scorgere la fine.
Dopo averla osservata per qualche istante, Luna si rese conto che non sarebbe riuscita in alcun modo a superarla.
Allora disperata si accasciò a terra in attesa che i soldati giungessero e si compisse il suo amaro destino.

Era lì seduta con il busto appoggiato a quel muro verde quando sentì alle sue spalle, dietro la folta siepe, delle vocine sottili e concitate parlottare fra loro. All’udire quelle voci Luna si alzò di scatto e arretrò allontanandosi dalla siepe.

Cercò di capire cosa stesse succedendo e scorrendo con lo sguardo lungo il folto muro di foglie e rami, vide una porzione alta e stretta della siepe più verde e brillante che sembrava avere forma di un arco.
La giovane s’avvicinò con cautela e sfiorò quelle piante con le dita, ma non accadde nulla.

Poi guardando con più attenzione vide, ai lati di quell’arco verde, due ramoscelli intrecciati a forma di maniglia.

Luna afferrò i rami, li tirò verso di sé e quell’arco verde brillante che nascondeva una porta si aprì. La giovane prese coraggio, avanzò lentamente, varcò la soglia e dopo aver fatto qualche passo udì la porta verde chiudersi dietro di sé.

Era appena entrata nel cuore della foresta.
I suoi occhi non avevano abbastanza sguardo per ammirare quanto gli si parava innanzi.

Prati rigogliosi, piccole valli dorate, rocce dalle quali sgorgavano dolci cascate decorate da brillanti arcobaleni, grandi fiori profumatissimi dalle forme triangolari color rosa, indaco, azzurro, viola e arancio. Farfalle con ali scintillanti sulle quali erano incastonati piccoli brillanti. Alberi di tutte le altezze con tronchi e rami ricoperti di muschi spessi e morbidi come velluto e con foglie indaco brillante a forma di sfera. Il terreno era ricoperto dello strano velluto color blu e ai piedi di alcune piante vi erano dei grandi funghi tondeggianti viola, rossi e gialli.
E come se ciò non bastasse, l’aria brulicava di piccoli esseri volanti anch’essi dai mille colori brillanti.

Luna stava imperticata lì con gli occhi sgranati, la bocca aperta e quasi senza respirare, quando uno dei piccoli esseri volanti con le orecchie tonde e le lunghe gambe sottili, le volò innanzi al naso e le fece cenno di seguirlo.
Dopo aver percorso lunghi tratti di quel prato di velluto blu, si ritrovarono ai piedi di una collina ricoperta di velluto rosso che aveva un’entrata alta e stretta.

Luna entrò senza fare rumore. Il suo sguardo si volse immediatamente verso l’alto attratto dalla luce intensa che filtrava dalle grandi foglie e rami che fungevano da tetto e che illuminava l’interno della collina.

Quando lo sguardo scese la giovane restò col fiato sospeso.

Le pareti erano ricoperte di pietre preziose azzurre, blu notte, gialle, viola e di tante forme inusuali come triangoli, rombi, sfere con punte e spirali. A terra, al centro della caverna vi era una grande polla d’acqua trasparentissima con rivoli indaco-viola che ogni tanto la attraversavano come piccoli fulmini e dietro la polla si trovava un grande trono di legno scuro ricoperto di velluto rosso trapuntato di diamanti.

In piedi lì di fianco c’era una giovane donna vestita di un lungo abito viola, che aveva sulla fronte una tiara dalla lucentezza abbagliante e in mano uno scettro la cui sommità terminava con una sfera di mille colori.
Alla vista della donna il corpo di Luna s’irrigidì.

Era molto alta, imponente, gli occhi verdi come smeraldi emettevano un profondo potere magnetico che catturavano lo sguardo, il viso allungato dalla pelle bronzea era incorniciato da una capigliatura voluminosa e ribelle color fuoco.

La donna fece cenno a Luna di avvicinarsi e di guardare nella grande polla d’acqua.
La giovane si mosse procedendo con passo incerto, aveva paura, stava tremando e dei brividi potenti le correvano lungo la schiena.

Avvicinandosi osservò che non si trattava di una polla ma di una sorgente d’acqua che proveniva dalle profondità della terra e in cui iniziava a scorgere, per la prima volta nella sua vita, il suo corpo riflesso e soprattutto a vedere il proprio volto.
Giunta al bordo della sorgente prese un lungo respiro, s’inginocchiò e si piegò in avanti per avvicinarsi il più possibile all’acqua.

Il suo viso era un po’ allungato, la fronte spaziosa, gli zigomi alti e sulle guance due piccole fossette, le labbra erano carnose, il naso sottile, gli occhi marrone-scuro dalla forma allungata come quella dei cerbiatti e con lunghe ciglia e sopracciglia nere, la pelle era liscia e leggermente scura e tutto ciò era incorniciato da lunghi capelli castano scuro con lievi riflessi rossicci.
Era una giovane donna di bell’aspetto e dal portamento elegante.
Luna rimase attonita difronte alla visione di sé.
Il suo aspetto non era quello di un mostro, il suo sguardo era vivo, intenso e soprattutto nelle sue profondità non scorgeva colpe come si era convinta di avere.

Allora la donna si avvicinò alla sorgente così le due si trovarono una di fronte all’altra separate solo dall’acqua.
“Sono la Regina del Cuore della Foresta”.
Gli occhi s’incontrarono e il racconto iniziò.

La Regina e il suo popolo si erano presi cura di Luna fin da quando, molto piccola, fu portata nella foresta, poi, una volta diventata più grande, avevano continuato a vegliare e aiutarla senza che lei se ne accorgesse.

Sopra l’eco di quelle parole la mente della giovane venne improvvisamente travolta dal turbine di vecchie domande rimaste per tanto tempo sepolte nella paura e da quelle nuove che sorgevano potenti per quanto stava accadendo in quel giorno.

Chi sono? Perché sono stata abbandonata nella foresta? Di chi è quel volto che la memoria riesce a stento a ricordare? Perché nessuno è più venuto a prendermi? E… perché quei soldati stanno entrando come invasori nella mia foresta?

La Regina percorse il bordo della sorgente e quando fu vicina a Luna emise un lungo sospiro, le chiese di chiudere gli occhi e le poggiò le mani sul capo.
Di colpo nella mente della giovane cominciarono a scorrere i ricordi della sua infanzia che la Regina stava facendo riemergere.
Ricordò il grande castello, i suoi genitori seduti sul grande trono con le corone scintillanti in testa, i grandi ricevimenti a cui partecipavano tutti i sudditi del regno e il giardino dove giocava spensierata insieme a tanti bambini.
Poi i ricordi terribili della guerra. Le loro terre invase da un tiranno, i genitori morti e l’amata zia, sorella di suo padre che, portandola in braccio, correva a perdifiato verso la foresta per salvarla.

Di colpo le immagini smisero di scorrere e quando ripresero Luna vide il sole infuocato alto nel cielo e davanti a sé, immerso nella sua abbagliante luce, un possente cavallo con in sella un giovane bellissimo uomo con la corona in testa, che la guardava intensamente.
Quell’ultima immagine aveva fatto accelerare di colpo il cuore di Luna e un gran turbamento l’aveva assalita. Quello non era un ricordo, era il suo sogno!

La Regina tolse le mani dal capo di Luna e continuò il racconto con le parole.
“Il tiranno, per assicurarsi che fossi morta, fece perlustrare per giorni le terre del regno, anche quelle che giungono fino al limite della foresta.

Eri un pericolo per lui, eri l’erede al trono e non potevi vivere ma nessuno riuscì a trovarti perché nessuno osò mai entrare qui.
Il volto di Luna assunse un’espressione interrogativa alla quale la Regina rispose.
“Solo gli umani di cuore puro possono entrare, vivere nella foresta e ricevere il nostro aiuto; alcuni che hanno avuto l’ardire di entrare senza tale dote sono stati ingoiati da essa”.

La Regina smise di parlare e un silenzio sospeso e rarefatto occupò tutta la caverna. Luna era lì in piedi immobile come pietra nel corpo e nei pensieri. Quel tumulto che fino a poco prima l’aveva invasa sembrava di colpo ammutolito.

Dopo alcuni istanti la Regina del Cuore della Foresta rispose all’ultima domanda rimasta sospesa.

“Sono da poco giunte al tiranno voci di una dimenticata foresta del suo regno, quella dove le persone di cuore impuro muoiono e dove sono custoditi straordinari e immensi tesori e per questo sono arrivati i suoi soldati”.
La giovane dopo un primo istintivo spavento tirò un sospiro di sollievo. I soldati del tiranno non erano certo di cuore puro e sarebbero stati uccisi dalla foresta.

La Regina, avendo letto il pensiero di Luna, le rivelò che il tiranno aveva un’alleata molto potente, una strega malvagia che aveva ordito un incantesimo per permettere ai soldati di entrare nella foresta senza pericolo.
Al termine di quelle parole il terrore comparve sul viso di Luna. Come avrebbe potuto da sola difendere la sua foresta e scacciare tutti quei soldati? Non aveva mai combattuto, non conosceva nulla dell’arte della guerra e non possedeva nessuna arma.

La Regina si avvicinò e le carezzò dolcemente il capo poi si diresse verso il trono e prese qualcosa che era appoggiato dietro alla grande sedia. Si trattava di un arco d’oro con frecce d’oro anch’esse. Poi andò verso la sorgente d’acqua si chinò e immerse le frecce. Dopo pochi istanti, dalle profondità della sorgente salì un fascio di luce bianchissima e potente che illuminò tutta la caverna. Luna balzò all’indietro e istintivamente coprì gli occhi.
Quando li riaprì la Regina era innanzi a sé le prese le mani e vi pose il suo dono. La giovane si accorse che dopo l’immersione nella sorgente, le punte delle frecce non erano più d’oro ma di diamante.
La Regina le disse di ricordare di essere di cuore puro e che questo le avrebbe permesso di utilizzare il suo dono con saggezza.
Luna guardò tra le sue mani il bellissimo arco d’oro con pietre preziose color rosso incastonate nell’impugnatura e le frecce d’oro con la punta di diamante, poi volse lo sguardo pieno di gratitudine verso la Regina che le sorrise dolcemente e si congedò da lei.

Luna si sentiva stordita. Sapere la verità aveva destato pensieri ed emozioni confusi e contrastanti.
Aveva trascorso la sua vita convinta di essere un mostro, piena di vergogna, credendo di dover espiare una colpa, non sapendo chi fosse veramente e quale fosse il suo posto.

Un moto di rabbia furiosa scosse il suo corpo e la vendetta si fece largo fra i suoi pensieri.
Ora voleva riprendersi il suo regno e i suoi sudditi, uccidere il tiranno e il terrore che portava con sé e non essere più sola.
Le sue terre dovevano tornare a essere belle, a donare abbondanza per tutti e tutti dovevano sapere, nei regni vicini e lontani, che le sue terre d’ora in poi sarebbero state governate da lei con saggezza e giustizia.

Mentre era presa da quei propositi, aveva già percorso la strada a ritroso ed era giunta dinanzi alla fitta siepe di alloro.
Tirò le maniglie di ramoscelli intrecciati, il varco si aprì, lo attraversò, la porta di foglie verde brillante si richiuse dietro di lei e si ritrovò nella foresta all’esterno del suo cuore.

Fatti alcuni passi udì delle voci in lontananza poi vide sbucare da alcuni alberi dei soldati che stavano perlustrando quella parte della foresta. Luna si nascose dietro un cespuglio poi con tutto il coraggio che poté, afferrò stretto il suo arco, prese una freccia e si mise in posizione di tiro. Fu una sensazione mai provata in tutta la sua vita. Sentiva tutto il corpo fare istintivamente dei movimenti come se non avesse fatto altro prima. Una mano strinse l’arco con la giusta forza, le dita dell’altra mano sollevarono leggere la freccia, gli occhi individuarono il bersaglio, il busto si posizionò dritto ma non rigido, le gambe con la giusta apertura e i piedi ben poggiati a terra. Scagliò la prima freccia in direzione della gamba di un soldato e la colpì. Subito gli altri soldati scagliarono le lance e una di quelle la sfiorò. Rimanendo nascosta nel cespuglio prese le altre frecce e continuò a colpire i soldati alle gambe e alle braccia finché non furono tutti a terra tranne uno che scappò. Allora Luna si avvicinò ai soldati feriti sfilò via le frecce dai loro corpi e imboccò velocemente un sentiero lasciandosi alle spalle le loro urla di dolore.

Dopo aver camminato a lungo si fermò per riposare un po’e pensare al modo migliore per uscire dalla foresta senza essere vista dai soldati del tiranno.
Nel frattempo il soldato sfuggito alle sue frecce, giunto a castello, riferì che tutti i suoi compagni erano stati gravemente feriti da una giovane che si trovava nella foresta e che la sua arma era un arco d’oro con un’impugnatura di pietre preziose e frecce d’oro con punte di diamante.

Il tiranno all’ascolto di quelle parole fu sopraffatto da un’ondata di furore.
Non poteva permettere a nessuno di impedirgli di compiere la sua impresa di impadronirsi della foresta e dei suoi immensi e straordinari tesori.

Così fece convocare nuovamente la strega.
La megera guardando all’interno di una ciotola piena di un liquido oleoso disse che quella giovane era Luna, la legittima erede al trono e che era riuscita a raggiungere il Cuore della Foresta dove la Regina le aveva rivelato la sua identità e le aveva fatto dono di arco e frecce magici.

Il tiranno andò ancor di più su tutte le furie e ordinò alla strega di preparare un potente veleno con cui ricoprire le punte delle lance.
Non appena esse furono intrise della pozione velenosa, il drappello dei migliori soldati del tiranno partì alla volta della foresta per uccidere Luna.

La giovane nel frattempo era giunta al limitare della foresta e mentre stava uscendo, udì un rumore di foglie calpestate non molto lontano da lei. Ebbe appena il tempo di buttarsi dietro un cespuglio quando vide arrivare una pioggia di lance. Erano i soldati dalle lance avvelenate che avevano iniziato la loro missione.
Luna rispose scagliando le sue frecce che colpirono alcuni soldati poi dopo un lungo botta e risposta scese il silenzio.
Mentre la giovane stava uscendo dal cespuglio pensando che la battaglia fosse finita, l’ultimo soldato sbucò da un albero dietro cui era nascosto e tirò una lancia avvelenata che la ferì di striscio al braccio
Luna dolorante fece qualche passo barcollando finché perse i sensi.

Al suo risveglio si ritrovò distesa a terra col corpo intorpidito, la vista offuscata, la mente confusa e senza il suo arco.
Alzò lievemente il capo e con uno sforzo della vista riuscì a riconoscere il trono dei suoi genitori dove ora il tiranno sedeva con tutta la corte al suo fianco.
Il tiranno si alzò e con fare tracotante si rivolse a tutta la sala dicendo che finalmente l’erede stava per morire e che d’ora in poi anche la foresta, il suo cuore e i suoi preziosi tesori sarebbero appartenuti a lui soltanto.
Luna distesa senza forze e senza il suo arco si sentì sconfitta.

Il tiranno con un cenno secco della mano, ordinò alle guardie di condurre la giovane a morire nelle segrete del castello.

Luna era seduta con la schiena poggiata al muro dell’angusta prigione con lo sguardo perso in direzione di una piccola apertura in alto. Mentre sentiva il corpo inerme e le poche forze abbandonarla, improvvisamente, da quell’apertura, vide entrare alcune lucine rosa. La giovane pensò che fosse una visione provocata dal veleno ma continuò a guardare finché riconobbe gli esserini volanti del Cuore della foresta.

La Regina la stava aiutando!

Gli esserini avevano tra le loro braccia sottili una delle frecce di Luna. Si avvicinarono e appoggiarono la punta di diamante sulla ferita. Luna fu subito avvolta da un grande bagliore e da un profondo senso di freschezza come se si fosse immersa nella sorgente della caverna. Prima di cadere in un profondo sonno, la giovane vide gli esserini lasciarle la freccia e volare via.

Era notte fonda quando si risvegliò nella piccola cella e avvertì subito che tutto era cambiato; la vista era chiara, il corpo rispondeva alla sua volontà, la mente era limpida.
La punta di diamante aveva guarito la ferita e purificato il suo corpo e la sua mente dal veleno.
Ora doveva uscire da lì ma non sapeva come fare.
Improvvisamente udì un rumore di passi lenti e pesanti avvicinarsi.

Luna si distese a terra e trattenne il respiro per far credere alla guardia di essere morta. Giunto davanti alla porta ferrata il soldato grugnì qualcosa poi non ottenendo risposta aprì, entrò e mentre si stava inginocchiando per sincerarsi che la prigioniera fosse morta, Luna si alzò di scatto, puntò la freccia alla gola dell’uomo e si fece rivelare dove il tiranno aveva nascosto il suo arco.
Dopo aver saputo dove era custodito, imbavagliò e legò la guardia, la rinchiuse nella cella e poi uscì quatta dalle segrete.

Il castello era silente; c’erano piccoli drappelli di guardie che camminavano lente lungo i corridoi, con le torce in mano. Dopo aver attraversato stanze, salito scale e camminato lungo corridoi che aveva percorso mille e più volte quando era piccola, la giovane, nascosta dietro una grande colonna, vide la porta della sala del trono dove c’erano appostate due guardie.

Luna guardò l’unica freccia che aveva in mano, quindi doveva trovare qualcos’altro per colpire le due guardie.
Si guardò velocemente intorno finché gli occhi si posarono sulla fiaccola appesa alla parete.
Con un balzo la afferrò e lanciò addosso ai soldati la freccia e la fiaccola. I due uomini colpiti e invasi dal fuoco si gettarono a terra urlando di dolore.

Luna li superò con un salto, aprì velocemente la porta, corse verso il trono, afferrò l’arco, incoccò la freccia, si voltò verso la porta d’ingresso e si mise in posizione di tiro.

Le urla dei soldati avevano svegliato il castello e fatto accorrere le guardie nella sala del trono. Quando tutte le guardie furono schierate, giunsero anche il tiranno e, subito dietro di lui, la vecchia strega.

La megera indossava un lungo mantello con cappuccio di color nero, sotto al mantello un vestito sempre delle stesso colore lungo fino a toccar terra e delle lunghe scarpe a punta anch’esse nere. I pochi tratti del viso che emergevano dal cappuccio mostravano un naso lungo e adunco, il mento lungo quasi a punta e delle labbra sottilissime socchiuse in un ghigno.

La strega avanzò di qualche passo poi con un rapido gesto tirò indietro il cappuccio mostrando dei lunghi capelli sfilacciati, due occhi neri piccoli e puntuti come spilli e il ghigno ancor più evidente.
In una mano rugosa e rinsecchita impugnava un lungo bastone nero di legno nodoso un po’ ricurvo in cima.

Erano tutti lì fermi nelle loro posizioni quando con un rapido movimento la strega bisbigliò qualcosa all’orecchio del tiranno che subito si mosse, afferrò una donna e nascondendosi dietro di lei, le puntò la spada alla gola. Nello stesso momento la megera appoggiando il bastone a terra cominciò a salmodiare strane parole finché dalla punta uscì una polvere nera che trasformandosi in un liquido cominciò a scorrere viscido e denso sul pavimento in direzione dei piedi di Luna.

Le urla della donna in preda al terrore attirarono l’attenzione della giovane che, guardandola intensamente, riconobbe in quel viso l’amata zia che l’aveva portata nella foresta e affidata al popolo magico.

Il tiranno intimò Luna di gettare l’arco o avrebbe ucciso la donna.
Gocce di sudore freddo scesero lungo la fronte di Luna mentre sbatteva rapidamente gli occhi per schiarire la vista e i pensieri e girando velocemente lo sguardo dalla megera, al tiranno, alla zia con la spada al collo.
Sapendo che il cuore di Luna non avrebbe mai permesso il sacrificio di chi l’aveva salvata, la strega sentiva il sapore della vittoria in bocca.

Luna abbassò lentamente il braccio con cui impugnava l’arco, inclinò istintivamente il capo in avanti, chiuse gli occhi e attese.

Improvvisamente avvertì il palmo della mano scaldarsi. Schiuse appena gli occhi e vide le pietre rosse dell’impugnatura illuminate ed emanare calore. In quell’istante le sue braccia si mossero guidate da una potente forza proveniente dall’impugnatura luminescente che le diresse fino a che scagliarono la freccia sul liquido nero. La punta di diamante colpì come una saetta il liquido che istantaneamente s’incendiò incenerendo il bastone della strega e bruciando la sua mano. La vecchia cadde sulle ginocchia e iniziò a dibattersi sul pavimento lanciando urla gracchianti. Luna allora prese a dirigersi con passi decisi verso la strega che continuava a urlare di dolore. A ogni passo scagliava frecce che la colpivano in ogni parte del corpo: le gambe, i piedi, le braccia. Luna avanzava e colpiva fra le urla che continuavano ma che perdevano forza a ogni colpo.
Infine, giunta ad un passo dalla megera si chinò, le aprì la bocca e le appoggiò la freccia sulla lingua che bruciò all’istante.

Luna, immobile vicino al corpo mutilato della megera, fissava senza pietà i suoi occhi sbarrati di dolore finché la strega emettendo un orribile rantolo morì.

Allora Luna si voltò e vide il tiranno morto a terra, il liquido nero bruciato senza più potere e l’amata zia salva. La giovane comprese che la strega si era impossessata della vita del tiranno che era morto sotto gli stessi colpi che aveva scagliato contro la megera, subendo lo stesso dolore, consapevole a ogni colpo che stava morendo e perdendo ogni cosa.

La sala del trono era stata abbandonata dalla corte in fuga e solo poche guardie avevano assistito alla disfatta.
Mentre erano ancora increduli e impietriti, gli occhi di Luna si posarono sui soldati rimasti che destati dallo sguardo penetrante dapprima indietreggiarono lentamente poi fuggirono a gambe levate.

Era l’alba.

Luna stanca ma con il viso pieno della vendetta raggiunta, con occhi saldi si avvicinò alla zia e l’abbracciò con calore. L’anziana donna la strinse forte a sé per far sparire l’antico dolore, poi si discostò leggermente, le accarezzò dolcemente il viso, la guardò intensamente con gli occhi pieni di lacrime gioiose e distese le labbra in quel sorriso che Luna finalmente poté rivedere.

La giovane rimase ferma continuando a guardare nel profondo gli occhi della donna poi avvertì una fitta al cuore seguita da un lungo e ampio respiro segno che quella profonda sofferenza era uscita dal suo petto ed evaporata nell’aria.

Piena di gioia Luna corse verso le campane della torre e le fece rintoccare più e più volte.

Quei suoni festanti si propagarono per tutto il regno e furono uditi anche dagli esseri volanti e dalla Regina del Cuore della Foresta che esultarono per la vittoria di Luna e diedero inizio a una lunga giornata di festeggiamenti con balli, canti, arcobaleni danzanti e scie profumate di petali che formavano disegni nell’aria.

Il suono delle campane consegnò a tutti gli abitanti del regno la notizia che la megera e il tiranno era stati confitti. Tutti lasciarono immediatamente i loro lavori per raggiungere di gran carriera il castello.

Luna, con il cuore che batteva forte, era in piedi davanti allo specchio mentre indossava gli abiti che tanto tempo fa erano stati preparati per il giorno della sua incoronazione.

Dopo aver indossato i suoi abiti Luna si avvicinò all’amata zia, l’abbracciò profondamente e s’inginocchiò innanzi a lei.
L’anziana signora ridestando tutta la regalità di cui era ancora piena pose sul capo di Luna la tiara.

Mentre le campane continuavano a suonare a festa, una gran folla di sudditi esultanti era giunta davanti al castello dove attendeva di salutare la Regina Luna.

Nel frattempo nel Cuore della Foresta tutti continuavano a cantare con le loro voci sottili e squillanti e tutto era pervaso da arcobaleni che danzavano nell’aria.

Quando il sole fu allo zenit l’anziana principessa annunciò ai sudditi la Regina.

Luna si affacciò al balcone indossando un lungo mantello rosso sopra una tunica bianca candida, con l’arco e le frecce in spalla e la tiara con un grande diamante al centro.

Al comparire della Regina il tono delle urla festanti si alzò, fiori di tutti i colori furono lanciati in aria, le tavole furono imbandite con ogni prelibatezza e le danze iniziarono.

Mentre i festeggiamenti erano al loro apice, improvvisamente si udirono squilli di trombe e rumore di zoccoli di cavalli al galoppo che fecero scendere un immediato silenzio. La folla si aprì e nel mezzo sfilò una gran fila di soldati con a capo un giovane uomo con la corona in testa e lo sguardo magnetico, in sella a un possente cavallo.

Luna, vedendo scorrere quella scena davanti ai suoi occhi, rimase a bocca aperta.
Quello non era più un sogno. Quel giovane esisteva davvero ed era lì.

Stava accadendo qualcosa di misterioso e bellissimo.

Luna, si ridestò dallo stordimento, si diresse velocemente verso le scale che conducevano all’esterno del castello in direzione della folla. Il giovane scese da cavallo e corsero l’una verso l’altro.
I due s’incontrarono in un lungo e tenero abbraccio che sembrava attendessero da sempre.

Allora i sudditi ruppero il silenzio e ripresero i canti e le danze con i quali avvolsero amorevolmente i due giovani sovrani.